di Marco Travaglio (Fonte: il Fatto Quotidiano)
Qualcuno, per favore, avverta Renzi che non
è il capo dell’opposizione, ma del governo e
della maggioranza. E che il Pd beccato con le
mani nel sacco di Roma lo dirige lui da un anno.
Quindi, quando dice “schifo”, parla di se stesso e
del suo partito, non dei gufi che stanno fuori. La
responsabilità politica e morale è sua e dovrebbe
scusarsi con gli italiani per non aver saputo bonificare
per tempo il Pd, imbarcando tutto il vecchio
e s ta b l i s h m e n t in barba alla rottamazione.
Che, com’è ormai noto, è una truffa: perché non
ha mandato a casa i pezzi più vecchi, più sporchi
e più compromessi del partito, ma solo quelli
che non si sono genuflessi al renzismo dominante.
Se “Roma è troppo grande e bella per lasciarla
in mano a gentaccia”, quella gentaccia
l’ha fatta entrare o l’ha lasciata lì lui, riciclando
ex rutelliani, ex dalemiani, ex fioroniani, ex veltroniani,
ex bettiniani in cambio di una semplice
professione di fede renziana. E ora non può cavarsela
col commissario Orfini, l’ex dalemiano,
ex bersaniano, ora ovviamente renziano, che
nella federazione romana è nato e cresciuto accanto
a quelli che dovrebbe cacciare, senza mai
accorgersi di quanto accadeva. Nel 1983, quando
il Psi torinese fu spazzato via dallo scandalo
Zampini, Craxi nominò commissario il ras torinese
Giusi La Ganga, che fu subito indagato e
sostituito con un altro dirigente eletto sotto la
Mole, Amato. Che non bonificò un bel nulla,
tant’è che dieci anni dopo il Psi torinese finì in
Tangentopoli. Se davvero Renzi vuole voltar pagina
nella Capitale, il commissario deve prenderlo
a Bolzano, non a Roma. Invece opta per un
commissariamento omeopatico, gattopardesco.
Ma ci è o ci fa? Un po’ ci è (è superficiale quanto
basta) e un po’ ci fa (è molto spregiudicato e si
crede sempre più furbo di tutti). Come se bastasse
estrarre poche mele marce da un cestino
di mele sane. Ma qui è marcio il cestino e qualunque
mela, anche sana, anche acerba, ne viene
immediatamente contagiata.
Marino non è un ladro, e neppure la Bonafè. Tra
l’altro, nessuno dei due è romano e ha mai bazzicato
la federazione capitolina. Eppure, appena
sbarcati a Roma –l’uno per candidarsi a sindaco,
l’altra a eurodeputata – furono subito portati in
processione a rendere omaggio all’omicida Salvatore
Buzzi, padre padrone della Coop 29 giugno,
asso pigliatutto delle opere pubbliche, sodale
di Er Guercio e finanziatore delle campagne
elettorali di chiunque s’avvicinasse al Campidoglio,
nero o rosso non importa. Nessuno poteva
fare a meno di lui, prima del voto, per avere
soldi, tessere e voti. Nessuno poteva negargli,
dopo il voto, la ricompensa sotto forma di appalti:
per gratitudine o per paura di finire incaprettato
in qualche discarica. Il tipico conflitto
d’interessi che diventa voto di scambio e associazione
mafiosa. Renzi dice che non c’è bisogno
di cambiare le leggi: in teoria è vero, basterebbe
non prender soldi da chi lavora per la Pubblica
amministrazione. Ma l’elenco dei finanziatori di
Renzi di oggi e di ieri (do you rememberCarrai?) ci
dice che così non è. Molto meglio di vietarlo per
legge, per allontanare le tentazioni. Renzi aggiunge
che, “se Grillo torna a fare i suoi tour, è
grazie al nostro lavoro: con il 41% del Pd alle
europee abbiamo messo la parola fine al rischio
della demagogia e del populismo di Grillo”. Ma
forse sopravvaluta il suo lavoro (gli indicatori
economici e sociali di nove mesi di cura Renzi
sono catastrofici) e gli errori del M5S. Per quante
cazzate facciano, i 5Stelle sono fuori dagli
scandali. I soldi pubblici non li rubano: anzi,
restituiscono anche quelli che spettano loro per
legge. Nelle fogne Expo, Mose e Mafia Capitale,
i grillini non ci sono mai, il Pd c’è sempre. E
quando qualcuno viene pizzicato, come nel caso
dei rimborsi regionali, viene espulso: non promosso
sottosegretario o governatore o consigliere
regionale. Finché il Pd non riuscirà a far
politica senza inquisiti e senza soldi pubblici,
qualche milione di italiani onesti continueranno
a votare 5Stelle. Schifati da tutti gli altri.
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